Una filiera criminale che aveva le sue radici nella microcriminalità, vale a dire nei furti e nelle rapine attraverso i quali l'organizzazione si procurava i gioielli in oro che poi finivano fusi nei lingotti in una fonderia di Torino. I lingotti, a loro volta, erano venduti a prezzo di mercqato a società nazionali che operano nel commercio dell'oro.
In questa fase entrava in gioco una società ungherese, gestita da un cittadino italiano, che simulava la vendita a una ditta di Arezzo emettendo una fattura fittizia. A sua volta l'azienda aretina emetteva un bonifico internazionale che poi era monetizzato in Ungheria. A quel punto il denaro tornava a Torino attraverso corrieri e veniva usato per pagare in nero i ricettatori.
In sostanza l'oro trafugato e fuso in Piemonte non lasciava mai l'Italia ma di fatto risultava venduto da un operatore estero a una ditta italiana attraverso un'operazione intracomunitaria.
A conti fatti, l'oro passato per le mani dell'organizzazione ammonta a ottocento chili, per un valore totale di 25 milioni di euro. A smantellare la filiera criminale è stata la guardia di finanza di Torino. Alla fine sono state undici le ordinanze di custodia cautelare disposte, cinque per reimpiego di beni di provenienza illecita e sei per ricettazione.