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Ripristino Diga di Montedoglio, 4 ditte nei guai

La Procura avanza ipotesi di reato per irregolarità nella ricostruzione successiva al crollo. Gestione illecita di oltre 7mila tonnellate di rifiuti

Non c'è pace per Montedoglio. Chiuse le indagini relative alla ricostruzione della porzione crollata e avvisi per ipotesi di reato a 4 aziende coinvolte

Ma andiamo per ordine.  Il 29 dicembre 2010 il crollo alla diga e nel 2020, dopo un lunghissimo iter amministrativo, la consegna da parte dell'Ente Acque Umbre Toscane dei lavori di rifacimento affidati ad una ditta che aveva vinto l'appalto. che a sua volta chiedeva ed otteneva l’autorizzazione ad avvalersi di altre ditte subappaltatrici per il ripristino delle strutture cementizie della Diga.

Tra queste anche una società di Rieti, che nel febbraio 2020 incappava nei controlli dei Carabinieri Forestali. Unitamente alla Gruppo Ambiente della Procura di Arezzo, i Militari si muovevano verso il cantiere della Diga insospettiti dalla grosse mole di terra e rocce trasportati dall'invaso a due note impianti della Valtiberina. Il cantiere, quindi, venne posto sotto sequestro per reati ambientali.

Al passaggio delle indagini sotto la direzione del Pubblico Ministero Angela Masiello, gli accertamenti proseguirono presso la Stazione appaltante, dove venne acquisita tutta la documentazione che aveva portato la medesima ad affidare i lavori alla società subappaltatrice.

Proprio dall’esame degli atti acquisiti e dalle ulteriori indagini svolte dalla Procura di Arezzo emergevano elementi che portavano gli inquirenti a ritenere che la società appaltatrice, in qualità di produttore giuridico del rifiuto, e la società subappaltatrice, in qualità di produttore materiale del rifiuto, avessero gestito illecitamente ben 7.185,2 tonnellate di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo, poiché li producevano, raccoglievano e trasportavano al di fuori della prescritta tracciabilità documentale, e poi li smaltivano mediante conferimento a due impianti della Valtiberina, uno dei quali del tutto sprovvisto di autorizzazione ed un altro in violazione dell’autorizzazione posseduta.

Le indagini espletate portavano, altresì, gli inquirenti a ritenere, a carico della società subappaltatrice, anche una ipotesi di reato di falso, per aver attribuito, in autocertificazioni dirette al Comune di Anghiari, ai rifiuti in questione la falsa qualifica di sottoprodotti, al fine di ottenere l’ammissione degli stessi ad un regime di favore.