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​L’ospedale dell’acqua

di - domenica 04 settembre 2022 ore 08:32

Mentre scrivo sta piovendo. Un’acqua leggera, costante, come non ne vedevo da non so quanti giorni. Pensavo quasi non esistesse più un’acqua così gentile. Un’acqua rigenerante buona anche da guardare.

Nel mese scorso ho passato pochi giorni in montagna. Non vi tornavo da alcuni anni. Ricordavo il fresco del bosco, il gusto dell’aria e della tavola, il suono dell’acqua. Di fresco ne ho trovato. Di gusto forse anche troppo, soprattutto in tavola. Di suono dell’acqua, invece, quasi niente. Sembra che la montagna abbia licenziato tutte le sue orchestre di rivi, ruscelli, laghi, fiumi e cascate. Ed ho scoperto che il territorio della mia memoria non esiste più. Lì dove c’era un torrente ho visto solo sassi. Fiumi di sassi silenziosi, terra secca e pezzi di tronchi mesti e infelici. La montagna ne è piena. Sembrano goderne solo le formiche. Sembrano.

Per non parlare dei ghiacciai. Non ne ho visti che piccoli pezzi. Vecchi animali affranti. Giganti in attesa d’estinzione di un’epoca esausta che non sa cosa farsene o come proteggerli. E dopo? Dopo che ci avranno lasciato, quando ai nostri figli racconteremo di quei massi spolverati dal vento che un tempo erano ghiaccio e risorsa, in quale montagna ci troveremo a camminare? A quale memoria si appelleranno i nostri figli?

Dovremo far presto ad erigere ospedali dell’acqua e del ghiaccio. Forse dovremmo farli in montagna i comizi per le prossime elezioni, lì dove c’era un fiume, un lago, un ghiacciaio. Lì, in mezzo alla tristezza dei sassi, per ritrovare il senso di ciò che è impellente e necessario.

Eppure di ospedali dell’acqua e del ghiaccio già ce ne sono. Leggo con piacere del progetto Ice Stupa (icestupa.org), ideato e diretto dall’ingegnere Sonam Wangchuk nel Ladakh, estremo nord dell’India. Altra parte del pianeta, stesso problema. Cito da “Montagne 360”, la rivista del Club alpino italiano, numero di Agosto 2022: «Il progetto Ice Stupa […] è impegnato nella creazione di accumuli di ghiaccio alti qualche decina di metri, ottenuti facendo zampillare nel gelo della notte acqua convogliata per gravità dal più vicino ruscello». Mezzi semplici, costi bassi, acqua disponibile fino all’estate in luoghi in cui l’acqua, a volte, non è accessibile. 

Altro esempio è quello dei ghiacciai artificiali creati con una tecnica perfezionata dall’ingegnere Chewang Norphel a partire dal 1987 – villaggio di Phutse - nel tentativo di formare “colate” di ghiaccio che possono raggiungere qualche metro di spessore e la lunghezza di qualche centinaio di metri. Altro esempio ancora è la propagazione dei ghiacciai con una sorta di “semina” così come realizzata dai montanari del Baltisan e dell’Hindu Kush. In questo caso il ghiaccio “maschio”, formato da ghiaccio “nero”, ricco di morena, e il ghiaccio femmina, ovvero ghiaccio chiaro, vengono mescolati in una buca d’alta quota, ricoperta da crusca, segatura e polvere di carbone. Ebbene: in otto casi su dieci da questo “seme” nascerà un nevaio che potrà evolvere in un ghiacciaio. Condizioni climatiche permettendo.

Ospedali più vicini al nostro territorio li stanno mettendo in piedi quelli di Glac-Up (glacup.com), stratup italiana con un sogno nel cassetto: far sì «che i nostri nipoti possano ammirare la bellezza di questi ghiacciai». Punto d’avvio del progetto il Presena, un ghiacciaio in provincia di Trento. L’ospedalizzazione (onerosa), in questo caso, avviene ricoprendone la superficie con dei teli geotessili in grado di riparare le parti a rischio del ghiacciaio dai raggi solari. I risultati sembrano essere buoni anche se, come riportato da lanuovaecologia.it (https://www.lanuovaecologia.it/ghiacci-teli-copertura-riscaldamento-globale/), «“Raccontare la copertura dei ghiacciai come una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico non è soltanto sbagliato […] ma rischia di creare confusione e compromettere la sensibilità ambientale che con fatica si è consolidata negli ultimi anni”. Ovvero, che per frenare gli effetti della crisi climatica − tra i quali c’è anche il ritiro dei ghiacciai − l’unica strategia da attuare è alleggerire il peso delle attività antropiche sul pianeta, cambiando radicalmente modelli produttivi e di sfruttamento delle risorse, consumi e stili di vita».

Un cambiamento radicale dei modelli produttivi e di sfruttamento delle risorse, consumi e stili di vita? Già… nei giorni del lockdown se ne parlava… mentre la Pianura Padana tornava a respirare sembrava persino possibile. Ed ora che ho finito di scrivere, invece, non piove più.


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