Città, metafore e fantasmi
di - lunedì 15 febbraio 2021 ore 07:30
Oggi come oggi, nelle nostre città, in particolare nel loro centro storico, vedo aggirarsi metafore in forma di fantasmi. Le strade, le pietre, i vuoti vestono i nostri cammini mancati, i viaggi interrotti, i silenzi di una convivenza non più possibile. Azzerato il turismo, cancellato l’incontro sociale e culturale nei suoi spazi più caratteristici, impaurita e limitata quando non autocertificata la presenza in strada dei residenti, è l’aria stessa a tornare narrazione del racconto, nelle sue geometrie di incroci, innesti e punti di fuga.
Ritrovarsi in cammino in uno dei nostri centri storici, oggi, è andare incontro al silenzio, al rincorrersi del vento - quel vento potenzialmente malato - tra i vicoli, in uno spazio temporale che non ci è familiare. Che impone brividi. Che segna i limiti del nostro sviluppo, della nostra idea di libertà di mercato, nelle vetrine buie, negli spazi chiusi, nei cartelli “Vendesi”. È l’immagine di una città che ha perduto la sua ragione d’essere, incapace di unire e di proteggere. Maldestra nel prendersi cura di chi l’ha eletta. Senza più voci, ricordo di piaghe storiche, suggeritrice di apocalissi.
Eppure, così libera dalla presenza ingombrante dei nostri corpi agenti, degli spazi occupati, dei nostri suoni caratteristici, dei tanti idiomi che ci appartengono, è una città che forse mai come oggi, alle generazioni dei vivi in ascolto, racconta il tempo della sua storia. Parla di sé, come non mai. Incessante narrazione dell’“esserci stati” esaltata dalla tridimensionalità degli spazi, dalla diversità degli stili, dagli spigoli rimproverati dal vento, dall’incessante brusio degli antri in cui la polvere gioca a rincorrersi.
Sono città da riscoprire, oggi, le nostre. Appena sarà possibile. Appena ne avremo occasione. In quegli orari in cui mai siamo usciti. In cui mai le abbiamo amate. Sono città da ascoltare, con cui parlare in una trama di pieni e di vuoti non più lineare. Sono cinte murarie non da difesa ma da difendere. Da riabitare. Fuori. Maestre di un verbo da imparare d’accapo: socializzare.
Allego gli scatti di un giorno d’inverno in cui una città mi ha parlato. In cui sono nate queste riflessioni. Gli scatti raccontano la città di Bibbiena, parte del suo centro storico. La ragione di quel cammino era lavorativa ed eravamo in “zona gialla” ma, come Teseo nel labirinto, ho sentito la necessità di lasciarmi guidare dal filo d’Arianna delle immagini appese a quelle pietre secolari per sconfiggere il Minotauro che mi stava cercando, nel silenzio di quei vicoli, nelle impressioni che vi ho appena descritto. È così che ne sono uscito e questa è la ragione del racconto.
Da alcuni mesi Bibbiena, il più grande centro della valle del Casentino e sede del Centro Italiano della Fotografia d’Autore, è Città della Fotografia con l’inaugurazione della prima Galleria Permanente a Cielo Aperto (Leggi l'articolo su QUInews Casentino). Potrebbe essere uno di quei centri storici la cui visita è da mettere in calendario, non appena ci saranno visite da poter fare, per tornare a curare le nostre città, dialogando con loro da buoni e vecchi amici. Da compagni di vita.