Alla fermata dell'autobus
di Nicola Belcari - mercoledì 25 giugno 2025 ore 08:00

Siamo fermi alla fermata di un autobus. Dove va? Dove andrà? È inutile chiedersi.
Non conosco gli altri che stanno lì, insieme a me. Posso scambiare qualche parola, trovare simpatica una persona rispetto a un’altra, ma cos’altro? Niente di più. Noi, non l’umanità, noi quei pochi uomini comuni in cui possiamo riconoscerci, siamo fermi alla fermata: una paronomasia dell’immobilità, del muoversi all’apparenza, con la meta del nulla.
La metafora solita, anzi inflazionata, è quella della nave, si dice: siamo tutti sulla stessa barca, per dire: un destino ci accomuna, volere il bene degli altri risponde al proprio interesse, ecc. ma la barca compie un viaggio, anche se fosse una deriva. Noi invece siamo fermi. Aspettiamo. Sul confine del “deserto dei Tartari”. Non arriverà nessuno. L’autobus non passerà. La vita trascorrerà in una vana attesa.
Qual è la differenza tra una comunità (il gregge umano e consapevole) e un mucchio di gente (estranei e anonimi)?
Su un grande schermo va in onda uno spettacolo che dovrebbe ingannare il tempo, purtroppo è di una noia mortale; il programma spazzatura, come quella abbandonata ai bordi della strada. L’aria è cattiva: polvere, miasmi, spurghi del viavai di motori. È la periferia indistinguibile di tante città, un paesaggio scialbo e sciupato, una sudicia gabbia.
Già è stato scritto tutto ciò che c’era da scrivere? È comunque scomodo leggere alla fermata su un marciapiede. E poi dal momento che non c’è una risposta perché affaticarsi su un libro?
È uno stupido aspettare, sotto un sole inclemente, senza un fremito di vento, dimentico della notte, segnata dalle stelle misteriose vie del cielo, di oscure lontananze, mappa del desiderio e dell’ignoto destino, ormai tale solo per altri.
Quel che sfugge è il mistero. E quello è per tutti, che uno lo sappia oppure no.
Nicola Belcari