Il sorriso della Gioconda
di Nicola Belcari - domenica 08 agosto 2021 ore 07:30
Uno “spazio” che ha nome “Sorridendo” può fare a meno del sorriso più celebre che l’umanità conosca? Quello della Gioconda.
L’opera è stata analizzata fin nei dettagli più riposti, nelle forme e nei modi più disparati, ma è rimasta sfuggente e misteriosa. È l’opera di uno scienziato, un tecnico raffinato ai limiti dell’umano. Quando ormai l’allegorismo medievale è tramontato lo “scientifico” Rinascimento coltiva ancora di più e con altri intenti e su altri versanti (mitologico e simbolico) l’esoterismo. Leonardo poi è un uomo amante dell’enigma. Ed è troppo profondo per non subire il fascino del segreto della Natura.
Egli porta con sé il dipinto, un ritratto, che avrebbe dovuto essere il meno personale e “destinato” al committente e che invece diviene il manifesto della sua poetica. Del suo modo di guardare al mondo, d’indagare la natura, di cogliere i fenomeni. Questa donna è tante cose insieme e nella sua “ambiguità” tutte le nostre “proiezioni” possono trovarvi un rifugio o essere accolte.
Quel sorriso è l’espressione di una serenità, di un rapporto di sintonia con la realtà naturale. Il nome stesso diventa un nome parlante, qualunque ne sia l’origine, alla fine rivela appunto la giocondità della persona, la placidità nella consapevolezza, la gioia contenuta, lo splendore dell’anima.
Il sorriso è apparso nell’arte greca, nella statuaria ionica, interpretato come manifestazione d’imperturbabilità, subito prima del periodo classico quasi a prepararne il terreno, poi torna nelle sculture gotiche che umanizzano i personaggi, ma il precedente più immediato e diretto si trova nei volti di Desiderio da Settignano e soprattutto nella “Dama col mazzolino” del suo maestro Verrocchio che somiglia anche nella posizione delle braccia. Ma nella Gioconda diventa imperscrutabile.
La donna si confonde col paesaggio acquatico, verdastro, umbratile, femminile e ne è il genius loci, più che una madre singola (nel ricordo che diviene un’“ossessione”? Freud) pare un’immagine di donna che personifica la Natura, la madre universale. Perché la natura ci sorride. E il suo sorriso è una carezza. È lo stato d’animo della sua perfezione.
Dalì scherzava da uomo d’altri tempi in cui fingeva di calarsi. La “Gioconda”, scrisse, ha un aspetto materno e provoca ripulsa perché fa l’effetto di trovare la propria madre in un luogo pubblico, come scoprirla in un bordello che sorride in modo equivoco. Il virtuosista istrione si ritrasse, inoltre, nelle sue vesti con i suoi baffi all’insù mentre maneggia delle monete con l’ironia di chi ammette il proprio interesse per il denaro.
A “ridere sotto i baffi” l’aveva condannata anche Duchamp, facendo proprio lo sberleffo infantile con raffinati sottintesi culturali. Quello della Gioconda non è il sorriso dell’empatia, irriflesso e istintivo, il sorriso ebete rivolto allo schermo della tv. Non è il sorriso di chi ti deve vendere qualcosa.
Non so se nasconda un segreto e se così fosse non so quale esso sia, ma penso che il sorriso più importante, per “te”, e dunque anche per gli altri, sia quello di quando ti sorriderai.
Nicola Belcari