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Attualità mercoledì 13 aprile 2022 ore 11:58
Sos imprese, giovani in fuga dopo la formazione
A lanciare l'allarme Cappetti di Cna. Aumenta la carenza di personale dato che le nuove leve dopo aver imparato il mestiere virano su grandi brand
AREZZO E PROVINCIA — C'è un settore portante dell'economia aretina particolarmente provato da una storia che si ripete ormai da anni: un giovane alle prime esperienze lavorative entra in un’azienda di dimensioni medio piccole, impara i trucchi del mestiere, e poi migra verso altri lidi, di solito grandi brand. Nel comparto manifatturiero quella appena descritta sta diventando la regola e questo rischia di mettere in ginocchio tutto il settore.
Parola di Aldo Cappetti, presidente Cna Industria Arezzo, pellettiere del Valdarno: “solo nella mia azienda, in tre anni e mezzo è andato via l’undicesimo dipendente, ma il mio non è un caso isolato. La formazione di un dipendente a me costa svariate migliaia di euro, sfortunatamente non posso godere dei frutti di tali sforzi perché, una volta acquisito il suo bagaglio di competenze, la persona decide – in maniera del tutto legittima, naturalmente – di prendere un’altra strada. Constato un po’ amaramente che, nella gran parte dei casi, al cambio di azienda non corrisponde chissà quale aumento salariale, anzi. Ma evidentemente il prestigio sulla carta intestata è un richiamo troppo forte”.
Probabilmente, quando la manifattura era davvero uno dei cavalli trainanti dell’economia aretina, non sarebbe stato un gran problema: si parla di tempi in cui trovare manodopera specializzata, o comunque ragazzi e ragazze desiderosi di intraprendere un cammino nel settore, non era una missione impossibile. Allo stato attuale, invece, con la mancanza di operai diventata ormai cronica, i dipendenti dimissionari rischiano di creare una seria difficoltà all’interno dell’organizzazione aziendale: “non voglio discutere le legittime aspirazioni di chi lavora al fianco di piccoli imprenditori, né ce l’ho con i grandi brand, il mio intento non è assolutamente polemico. Voglio semplicemente portare l’attenzione sul fatto che, molto spesso, questi marchi non sono nemmeno italiani, i nostri operai specializzati vanno a incrementare il pil di altre nazioni, mentre noi che lavoriamo nel Made in Italy ci troviamo in difficoltà, perché affrontare di nuovi i costi di formazione di una risorsa non è cosa da poco”.
Dato il momento, tra una pandemia non ancora finita e una guerra in corso, è chiaro che gli investimenti devono essere oculati, per questo Cappetti a nome della categoria lancia il suo appello: “posto che non si può mettere un freno ai sogni delle persone, chiediamo almeno che ci venga riconosciuto, in qualche forma, una sorta di indennizzo per ogni operaio da noi formato che decide di portare le proprie competenze altrove. Contributi per la formazione, altrimenti ci sono realtà che rischiano di chiudere e altre che vedranno il loro lavoro assottigliarsi sempre di più, con effetti a cascata su tutta l’economia del territorio”.
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