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Attualità sabato 10 luglio 2021 ore 11:05

Il calvario di Chiara da quell'incidente in Niger

Subbianese era in missione umanitaria con la onlus Cosper. Da quel terribile 8 maggio 2018 ha subito 8 interventi e tre anni di nutrizione artificiale



SUBBIANO — Niger, si riavvolge il nastro ed è l'8 maggio del 2018. In viaggio da Niamey a Tahoua, nord est del Paese africano. Otto ore di auto sull’unica strada asfaltata della nazione. Un’automobile diretta nella capitale sbanda, invade la corsia opposta e si scontra frontalmente con il veicolo che trasporta gli operatori italiani di una missione umanitaria della onlus Cospe.

“Stavamo andando a Tahoua per verificare lo stato di avanzamento dei nostri progetti con le associazioni di agricoltori locali. Io ero seduta dietro. Nello scontro il conducente del veicolo che ci aveva investito è morto, i miei colleghi sono rimasti feriti ma non gravemente. Io ero seduta dietro e la cintura ha tagliato e frantumato tutto ciò che era possibile: intestino, spalla, costole …”.

I primi soccorsi. “Ero ancora vigile quando mi hanno trasportata nell’ospedale rurale più vicino. Ricordo che mi dissero solo che avevo il bacino rotto. Cospe inviò un’ambulanza per trasferirmi nella capitale. Durante il viaggio persi i sensi e mi sarei risvegliata, dopo un mese, a Careggi”.

Accadono molte cose nel periodo che Chiara, 43 anni, ha vissuto nella narrazione dei colleghi. Nella capitale del Niger c’è un contingente militare italiano con un medico. La prende in carico e la trasferisce nell’ospedale militare americano da campo. Qui c’è il primo intervento chirurgico d’emergenza. Il passo successivo è il trasferimento in Italia ma Chiara non viene giudicata nelle condizioni di sopportare un viaggio aereo diretto così lungo. Viene quindi trasferita a Dakar in Senegal dove subisce un nuovo intervento chirurgico. I medici si mettono in contatto con i sanitari di Careggi e organizzano il volo fino a Firenze.

“A Careggi sono rimasta 1 mese in terapia intensiva ed altri 6 in sub intensiva. Piano piano mi hanno raccontato cosa era accaduto. Io avevo perso conoscenza con una sola informazione: bacino rotto. In realtà le mie condizioni erano molto più gravi”. Tra i danni maggiori provocati dall’incidente stradale c’erano più lesioni dell’intestino e tuttora non sono sicura di quante fossero esattamente".
Ad oggi Chiara ha contato 8 interventi chirurgici: “forse 9 perché non ho chiari i dettagli della mia degenza in Senegal”. Altri 2 li ha in programma.

Questi anni li avrebbe dovuti trascorrere ininterrottamente in ospedale perché costretta a nutrirsi artificialmente. Invece da settembre 2019 è nella casa dei suoi genitori a Subbiano, in provincia di Arezzo. La collaborazione tra la chirurgia di Careggi, dove ha passato comunque alcuni mesi e la nutrizione clinica del San Donato, le hanno consentito di restare a casa.

“Abbiamo preso in carico Chiara il 13 settembre 2019 – racconta Emanuele Ceccherini, Direttore della UOSD Nutrizione clinica della Asl Tse. L’abbiamo seguita fino al 22 maggio di quest’anno. Inizialmente non era ancora stabile, perdeva liquidi ed elettroliti dalle fistole. Una condizione per la quale, di norma, si viene ricoverati in ospedale. Ma Chiara aveva già subìto molti interventi e aveva trascorso una lunga degenza. Era finalmente tornata e casa e abbiamo deciso di fare tutto quello che era possibile per consentirle di restarci. Il nostro primo obiettivo è stato quello di stabilizzarla dandole liquidi a sufficienza” per questo abbiamo avuto bisogno di due pompe infusionali, una infondeva soluzioni elettrolitiche in vena e L’ altra sacca nutrizionale.

“Per me – ricorda Chiara – restare a casa era fondamentale. In ospedale il livello mentale scende e l’angoscia sale. Poter stare insieme ai miei genitori, accudita da loro, garantita dai medici e dagli infermieri in ogni momento del giorno e della notte è stata parte essenziale della mia guarigione”.

Per Chiara, il reparto di nutrizione prescriveva una sacca parenterale personalizzata alla quale ne veniva aggiunta una seconda per mantenere l’equilibrio elettrolitico. “Abbiamo insegnato ai suoi familiari come gestire la nutrizione artificiale e abbiamo seguito la paziente fino al 12 maggio di quest’anno – sottolinea Ceccherini. E questo grazie ad un servizio articolato su tutta la Sudest ed afferente al Dipartimento di Medicina Interna ed ad un grande giuoco di squadra. La UOP di Dietetica , grazie a dietisti assegnati e formati alla Nutrizione Clinica ha seguito la delicata rialimentazione orale e la supplementazione artificiale. Il supporto infermieristico territoriale ha seguito la nutrizione artificiale parenterale domiciliare con il coordinamento della Rete professionale infermieristica di Nutrizione Clinica. Gli infermieri esperti, assegnati alla UOSD hanno garantito una risposta costante alle varie problematiche.
Chiara e i suoi si erano organizzati rapidamente: “siamo stati tutti obbligati a diventare “esperti” in gestione di stomie, pompe, medicazioni, sacche di nutrizione parentale totale e procedure per una somministrazione sicura dal punto di vista infettivo. Tutto questo per poter essere dimessa e non dover affrontare i lunghi mesi di attesa tra un intervento e l’altro in qualche reparto a lunga degenza. Il servizio di nutrizione è stato sempre disponibile: se avevo un problema anche alle 3 di notte, mi rispondeva e mi dava la soluzione”.

Lo definisce la sua “ancora di salvezza”. “La gestione della nutrizione parenterale a domicilio era forse uno degli aspetti che più ci spaventava al momento della mia prima dimissione. Tuttavia la maniera con cui viene amministrata dalla Azienda USL Toscana Sud Est ci ha permesso di gestirla fin da subito nella maniera più corretta, evitando complicazioni dovute a errori di inesperienza”.
Chiara ha ripreso ad alimentarsi normalmente ed è tornata a lavorare a Cospe il 16 giugno. “Ovviamente non vado in missione. Per questo dovrò probabilmente attendere anni anche perché ho ancora in calendario un paio di interventi chirurgici. Ho ripreso l’attività a part time e mi occupo di questioni amministrative. Non sono ancora rientrata definitivamente nella mia casa di Firenze e continuo a stare a Subbiano: qui mi sento al riparo. Ancora di più lo sono stata durante la fase acuta dell’emergenza Covid”.

Chiara è oggi seduta nel verde giardino di casa. Lontana dalle piste polverose del Niger e dal lavoro al quale aveva dedicato la prima parte della sua vita. Ma è viva, cammina e mangia per conto suo. E, soprattutto, conserva il passaporto in tasca.


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