Iceberg? Una, nessuna, centomila
di Monica Nocciolini - mercoledì 29 novembre 2017 ore 14:58
E’ tornata in Italia e sta bene, la dogo argentina Iceberg le cui sorti hanno tenuto l’Italia col fiato sospeso per mesi, ovvero da quando – era il maggio scorso – la cagnolona venne sequestrata al suo proprietario Giuseppe Perna dalle autorità di Danimarca e trasferita in una struttura municipale per essere abbattuta. Motivo? Il dogo argentino in Danimarca rientra in una lista di razze bandite, vietate in quanto ritenute pericolose. Perna, che si era trasferito per lavoro con quattro zampe al seguito, non ne aveva idea. In dogana nessuno aveva sollevato questioni e dunque portava tranquillo il suo cane a spasso finché qualcuno deve avere avanzato una segnalazione. Sono stati mesi di mobilitazione anche ad alti livelli istituzionali col coinvolgimento di ambasciate e ministeri, oltre che di associazioni animaliste e personaggi di spicco come la cantante Noemi. L’Italia altro non chiedeva che il rimpatrio del cane. Ci è voluto tempo, ma alla fine lo Stivale l’ha spuntata.
Ma come funziona questa faccenda delle razze pericolose? Ed esistono, poi, alla fin fine, razze pericolose? Secondo la legge italiana ad esempio no. Era il dicembre 2006 quando l’allora ministro alla sanità Livia Turco stilò una lista di cani pericolosi entro un’apposita ordinanza. Le razze finite nel mirino erano 17, alcune in verità neppure mai registrate in Italia. Fatto sta che, al di là delle contestazioni del mondo cinofilo e dei veterinari, non parve funzionare. Nel 2009 il nuovo ministro Francesca Martini emanò una nuova ordinanza, tutt’ora vigente in regime di proroga, con norme per la detenzione in sicurezza dei cani, tutti i cani, senza liste. In Italia, insomma, oggi non ci sarebbe possibilità di casi simili a quello di Iceberg, di cui si è apprezzata in questi giorni l’indole più da distributore automatico di baci che di morsi.
Perché il punto, spiegano gli esperti, non è la razza. Certo, le selezioni degli allevatori tendono a privilegiare attitudini peculiari: il fiuto del segugio è un paradigma, così come la bonomia del labrador (unico morso che ho preso nella vita: da un labrador, sulla coscia…) e del golden retriever o l’acquaticità del terranova. La morfologia, la struttura fisica del cane, ci mette del suo. Dunque di certo esistono cani più impegnativi di altri, soprattutto nella gestione in ambito urbano, e guai a sottovalutare certi piccoletti. Lì però entra in gioco l’interazione con l’uomo. Il fatto esperienziale e relazionale. L’educazione. Proprio come per gli umani, alla fin fine. E oggi anche in Italia esistono fior di educatori, istruttori, comportamentalisti più che preparati ad aiutare l’uomo e il cane a sviluppare condotte virtuose che anzitutto fanno il bene del cane. Amarlo è anche questo.
Ma per un caso Iceberg in Danimarca e nessun divieto in Italia, come si comportano gli altri stati europei? Beh, non sono pochi quelli che vietano il possesso e talvolta – in Francia è così dal maggio scorso – perfino il transito temporaneo sul proprio territorio di alcune razze. Che più o meno sono le solite: il dogo argentino c’è sempre, così come il pitbull, il rottweiler o l’american staffordshire, il bull terrier anche. Limitazioni o divieti sono vigenti in Olanda, Belgio, Germania, Inghilterra, Cipro, Francia si è detto, e anche Finlandia. L’indicazione che se ne ricava è che la questione non sia del tutto peregrina. Ma il fai da te repressivo con una, nessuna, centomila Iceberg è la giusta soluzione?
Monica Nocciolini