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Attualità venerdì 28 maggio 2021 ore 12:25

Storia di 4 aretini nell'inferno delle dipendenze

Marco Becattini - Serd

Benedetta, Alessandro, Mario e Giuseppe tra anni di alcol, droga e dolore. In provincia adesso c'è il gruppo Narcotici Anonimi: per rimanere "puliti"



AREZZO — Ci sono storie che fa male anche raccontarle. Ma farlo è necessario, per capire e per tentare in ogni modo di tenere i nostri ragazzi e le nostre ragazze lontano da mondi pericolosi, da atteggiamenti che possono rovinare per sempre la loro vita.

Entriamo adesso in un vicende difficili. Dolorose, dure. "A 16 anni ho cominciato ad assumere sostanze. Avevo problemi di anoressia e bulimia. La droga mi aiutava a dimagrire e quando mi sono accorta della dipendenza, era ormai troppo tardi. Due anni dopo sono andata via di casa e poi sono entrata in comunità. Fino a 25 anni entravo e uscivo. Poi è successo qualcosa, un fatto grave che mi ha aperto gli occhi e fino a 30 anni sono rimasta pulita. Poi ho ripreso. Saltuariamente, soprattutto nei fine settimana. Ho vissuto in questo modo 20 anni, da quando ne avevo 18 fino a 38: è stato un modo sbagliato. Adesso sono sola, non ho un’amica, non ho mai avuto un fidanzato normale".

"Ho iniziato a 15 anni, prima le droghe leggere e poi di tutto. Con gli amici, fuori di casa, girando in motorino. Ho fatto diversi tentativi di smettere ma non sono mai andato in comunità: sono stato sempre convinto che chiudermi non mi sarebbe servito. La ripresa della dipendenza dipende molto dal giro di compagnie nel quale sei o nel quale rientri. E’ una sfida che alla fine rischi di perdere: basta una sera nella quale sei più debole di altre".

"Sono figlio di un muratore che era riuscito a crearsi una sua impresa. Il vino era in casa e io ero un ragazzo curioso. Cominciai a provare i primi effetti e a 12 anni aggiunsi le birre fuori casa con gli amici. Fino a 17 anni questa rimase una cosa limitata. Avevo provato anche lo spinello ma vivevo in un piccolo paese e la roba non si trovava. Tutto cambiò quando andai a fare il militare. L'hashish si trovava e poco prima del congedo cominciai anche con la cocaina. Sono andato avanti così per una decina d’anni e a 36 anni c’è stato il tracollo economico. Ho chiuso la mia piccola ditta e ho venduto la casa".

"Mia madre era alcolista ma io l’ho scoperto quando ero grande. L’abitudine di famiglia era di mettere un goccino di grappa nel biberon. La tendenza ad evadere l’ho sviluppata molto presto. Dopo molti anni, ho ritrovato una cartolina che avevo scritto quando facevo le elementari: era piena di sensi di colpa. La prima sbornia l’ho presa presto. Alla fine di una festa di Capodanno, ho sparecchiato e mi sono scolato tutti i bicchieri che erano rimasti sui tavoli. A 14 anni già bevevo. Non solo per tradizione di famiglia ma anche per la vita che facevo".

Benedetta, Alessandro, Mario e Giuseppe. Quattro storie diverse: per genere, età, genesi ed esiti. Quattro storie con un denominatore comune: la dipendenza. Da alcol e da droghe. Quattro persone che hanno fatto una scelta: uscirne o - come loro dicono - rimanere puliti. 

Qualcuno lo è da un paio di mesi, qualcuno da 25 anni. Tutti percorrono due strade, distinte ma parallele: il Serd, cioè il Servizio Asl per le dipendenze patologiche e i NA, cioè i Narcotici anonimi, un'associazione internazionale (www.na-italia.org) che ha adesso un gruppo anche nella provincia di Arezzo.

Ecco il "biglietto da visita": "Narcotici Anonimi è un'associazione senza fini di lucro, composta da uomini e donne per le quali le droghe erano divenute il problema principale. Noi siamo dipendenti che recuperano e si incontrano regolarmente per aiutarsi l’un l’altro a rimanere puliti. Questo è un programma di completa astinenza da tutte le droghe. Vi è un solo requisito per divenire membri: il desiderio di smettere di usare".

Marco Becattini è Responsabile del Serd Arezzo e del coordinamento delle reti dell'area dipartimentale delle dipendenze Asl Tse: "il rapporto con NA si è rafforzato negli ultimi anni, senza convenzioni o oneri. Alcuni di loro sono nostri pazienti e danno il contributo più bello: hanno vissuto il problema e si sentono una risorsa per gli altri. Sono capaci di essere astinenti e portatori di speranza".

Se parliamo di vite difficili, qui ne troviamo.
Mario: "ebbi una storia con una ragazza e andò male. Questo aumentò i miei problemi. Un’altra ragazza mi propose l’ecstasy. Un amico di nuovo la cocaina. Il mio giro era ormai quello. E dai 25 anni di roba ne assumevo tanta e spesso. E la roba costava. Lavoravo ma i soldi non bastavano e allora cominciai a rallentare durante il fine settimana ma ho difficoltà a ricordare un sabato e una domenica da lucido". Mario chiude la sua piccola impresa perché i soldi vanno agli spacciatori: "Fortunatamente c’è stata mia sorella che mi ha aiutato. Sono andato avanti con piccoli lavori, saltuari e mal pagati. Ho continuato a fare il muratore, l’unico lavoro che sapevo fare. A 46 anni ho avuto due incidenti stradali a poca distanza l’uno dall’altro, nel 2015 e nel 2016. I carabinieri mi hanno fatto le analisi dopo il secondo e sono risultato positivo a cannabinoidi, cocaina e alcol. Mi hanno tolto la patente e sono andato in comunità".

Giuseppe: "la mia sostanza di elezione è sempre stata l’alcol. Anche all’Università. Se c’era un fiasco di vino sul tavolo, io dovevo vederne il fondo. A 27 anni ho iniziato con hashish e cannabis: alcol e fumo è un buon mix. Poi ho conosciuto la droga. E ho tentato il suicidio con un mix di cognac e medicine. Sono rimasto in coma tre giorni. Dinanzi alla cocaina, ho fatto un balzo indietro: ho visto amici che ci stavano lasciando le penne. Sono stato sposato più volte ed ho avuto 3 figli da donne diverse. Nel 1991 ha avuto un incidente stradale del quale non ricordo nulla, ma che mi ha fatto scattare qualcosa. La moglie di allora mi disse chiaramente: o fai qualcosa o tra noi è finita".

C'è sempre un punto di rottura, un momento nel quale dire basta. Alessandro: "la motivazione per smettere è tutta interna: la dipendenza è un tappo che blocca tutti i sentimenti. Gli effetti collaterali portano alla rovina della vita: ho visto troppi amici finire al cimitero".

Benedetta: "smettevo quando fisicamente non ce la facevo più. Adesso ho 38 anni e quando ne avevo 20 ero in grado di reagire meglio. Quando sei pulita, ti viene il pensiero che ti puoi permettere di farti una volta ogni tanto. La droga ti manovra".

Ognuno ha la sua occasione di dire basta. E di dirla per qualche giorno o per qualche anno o per sempre. "inizio e fine non sono nitidi - afferma Becattini. In realtà c'è una linea d'ombra nella quale diminuisce il ruolo delle sostanze a fronte dell'emergere di altri elementi: il dolore, la paura, il contatto con persone capaci di motivare, il carcere, il lavoro, ...".

Chi smette si volta indietro e guarda la sua vita. Benedetta: "il bilancio di 20 anni è fatto di vita perduta, di sensi di colpa, di rimpianti per una famiglia e per figli che non ho avuto. Il rimpianto più grande? Avrei potuto vivere meglio". Giuseppe: "cosa mi dispiace aver perduto? I rimpianti e i sensi di colpa non servono a nulla. Quello che si è fatto, è il frutto della nostra malattia e non ci voglio nemmeno pensare a quello che mi sono perduto".

Smettere una volta non vuol dire farlo per sempre. "Sul comodino - ricorda Becattini - c'è tutto quello che serve per iniziare di nuovo e il dipendente deve avere sempre in tasca l'accesso alle sostanze. Le odia ma non può farne a meno. Per smettere servono servizi, comunità, gruppi di supporto. Serve recuperare pezzi di vita". 

Il Serd? "Il nostro lavoro è restituire a queste persone un sé reale. E legale. Un paziente mi ha detto, una volta, che la terapia è meglio della 'pera'".

Il Covid non ha aiutato. Mario: "soprattutto il lock down mi ha costretto a rimanere solo e chiuso in casa. Ho ripreso un po' a bere. E anche a cercare sostanze che, però, in quella situazione fortunatamente non ho trovato". Alessandro: "il Covid? Sono pulito da 2 anni ma il lockdown mi ha chiuso in casa. Stavo riaprendomi alla vita e la vita si è chiusa per me".
La ricaduta si lega ad una parola che cita Becattini: noia. E ricorda Rambo quando afferma che ha guidato macchine da guerra per milioni di dollari e, tornato a casa, non trova uno straccio di lavoro. "Il calo emotivo è un elemento determinante. Ulisse accetterà una vita ordinaria seppur da re ad Itaca oppure riprenderà il mare per essere un eroe?".

Il futuro di Benedetta: "non voglio perdere il lavoro, la fiducia dei familiari, non voglio più stare male. Ho sempre smesso da sola e poi non ce l’ho fatta: chi pensa di smettere da solo, non ce la può fare". Quello di Mario: "ho trovato un lavoro nel settore dell’igiene urbana, ma non guadagno molto e così ne faccio un altro. Mi hanno pignorato il quinto dello stipendio. Ho pochi soldi, vivo solo, ho poco tempo libero e anche in considerazione dell’età, il lavoro comincia a pesarmi. Ogni tanto bevo un po' di vino e un po' di birra. Non mi posso permettere né obiettivi né traguardi: vado avanti cercando di restare pulito. Adesso ho 51 anni e sono consapevole che il mio futuro non è bello".
E infine quello di Giuseppe: "non voglio più vedere gli occhi spaventati dei miei figli di fronte alla condizione in cui tornavo la sera a casa. Adesso sono in pensione e il mio futuro viaggia abbastanza alla giornata. Faccio comunque programmi: a 70 anni ho ripreso in mano il sassofono e studio di nuovo".

Intanto nelle riunioni dei Narcotici Anonimi rimane accesa una candela: “rappresenta la speranza che non deve mai spegnersi – ricorda Domenico. Noi siamo portatori di un messaggio di speranza ai nuovi venuti. Tra noi non ci sono giudizi e valutazioni. Ognuno è se stesso e porta la sua vita e la sua storia nel gruppo. La nostra esperienza condivisa ci conferma che un dipendente è responsabile non della sua malattia ma del suo recupero. E che è possibile farcela. Siamo qui per dimostrare che si può vivere non solo bene ma anche felici”.


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