Attualità martedì 11 gennaio 2022 ore 12:00
Trapianto fegato, il San Donato punto strategico
Non solo Covid. La storia di Paola e Rossana che si sono sottoposte al delicato intervento
AREZZO — Questi sono i giorni della pandemia dove l'ospedale aretino sta giocando una parte strategica e fondamentale per combattere il virus. Ma il San Donato non è solo ospedale Covid, anzi. E' un'eccellenza in molti comparti e non ultimo quello relativo al trapianto del fegato che vede proprio in Arezzo e Pisa due centri di assoluto rilievo per queste attività.
All'interno dell'ospedale San Donato di Arezzo esiste da molti anni un protocollo sanitario che riguarda il paziente epatotrapiantato che viene accompagnato fin dal momento dell'individuazione quale possibile candidato al trapianto.
Il percorso aretino è gestito dalle Unità Operative di Malattie Infettive e Gastroenterologia, mentre il Centro Trapianto Fegato di riferimento per la Toscana è l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, dove viene seguito il 97% dei pazienti aretini.
Il paziente trapiantato di fegato viene preso in carico dall''ambulatorio di malattie infettive, mentre dal punto di vista strettamente clinico è seguito dal gastroenterologo o dall'infettivologo, a seconda di chi lo aveva in cura.
All'interno dell'ambulatorio aretino si eseguono tutti i follow up necessari nel post trapianto, con confronti continui con il centro di Pisa e con il paziente, specialmente nei primi mesi in cui necessita di una stretta sorveglianza.
“Avevo 4 anni quando hanno scoperto che avevo una epatite autoimmune, ovvero il mio organismo non riconosceva il fegatoe lo distruggeva, racconta Rossana. Mi sono fatta mesi di ospedale (e parliamo degli anni 70, quando le strutture non erano proprio come adesso), poi tante cure a casa. Ai miei genitori dissero che avrei avuto al massimo un anno di vita. Nel tempo, nonostante le terapie, la situazione è peggiorata. Spesso passavo le giornate a letto o sul divano. L’attesa del trapianto è durata due anni e mezzo, durante i quali devi sempre essere reperibile perché dal momento in cui ti chiamano hai pochissimo tempo per arrivare al centro.
La telefonata è arrivata una sera, non ebbi neppure il tempo di pensare.
Nel mio caso ho sempre avuto consapevolezza dell’importanza della donazione. Esistono mille modi per donarsi, e il trapianto è una sorta di miracolo. Ogni mattina ti alzi e pensi a quanto è bello il mondo: un mondo che altrimenti non potresti più vedere. Noi trapiantati torniamo ad una vita perfettamente attiva. Senza la donazione io non sarei più qui da anni. Nel mio viaggio ho sempre trovato strutture super efficienti e personale preparato e con una grande sensibilità.
Ogni volta che ho avuto un problema (prima/durante e dopo l’intervento) sono stata presa in carico con sensibilità e puntualità. Il centro di Arezzo per noi è indispensabile. Ci conoscono, ci seguono, ci controllano, hanno sempre un attimo per noi, un sorriso, una parola di sostegno e supporto, non siamo numeri ma persone.
E questo fa la differenza. Per chiunque".
Altra storia, quella di Paola ed altro insegnamento.
“La mia vicenda - racconta Paola - comincia alla fine del 2000 quando, a seguito di approfonditi esami, ho scoperto di aver ereditato dal mio babbo la CBP, colangite biliare primitiva, una malattia autoimmune che porta lentamente ma gradatamente al mancato funzionamento del fegato con conseguenze mortali. L'unica soluzione proponibile, una volta arrivati all'ultimo stadio della malattia, era ed è il trapianto. La malattia non mi ha comunque impedito di condurre una vita normale, di avere dei figli e di lavorare. A febbraio dl 2015, però, senza nessun preavviso, ho avuto una grossa emorragia e sono stata ricoverata in gravi condizioni. Da quel momento è partito il mio percorso per essere inserita nella lista trapianti.
Il 19 agosto dello stesso anno ho ricevuto l'organo grazie ad una persona generosa e speciale che aveva espresso la volontà di donare gli organi e che ora porto con me.
L'attesa per me è stata brevissima, non ho neppure avuto il tempo di realizzare bene cosa mi stesse succedendo all'arrivo della telefonata, in piena notte. Entro due ore dovevo essere a Pisa e sinceramente l'unica mia preoccupazione durante il viaggio era quella di non trovare traffico.
Sono sempre stata tranquilla e serena, del resto la vita mi dava una grande possibilità che purtroppo tante altre persone non hanno potuto avere e la dovevo cogliere con il sorriso. Ho avuto ragione. Oggi sono moglie, mamma e soprattutto nonna felice, e senza quei medici ed infermieri eccezionali e un angelo che mi accompagna sempre, non sarei qui a raccontarvelo.
La vita mi ha dato una grandissima seconda oppotunità e non posso e non voglio dimenticarmelo nemmeno per un istante. Ricordiamoci sempre che una vita che finisce, pur nella tragedia, puo' salvarne tante altre (nel caso della mia donatrice ben sette persone) e ridare una speranza a molte famiglie".
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