Le Sagre in Toscana
di Dario Dal Canto - domenica 21 luglio 2024 ore 08:00
In Toscana abbiamo svariate cose piacevoli da fare e una di queste è sicuramente la possibilità di andare alle sagre di paese.
La stagione prediletta è ovviamente l’estate, quando la nostra regione dà il meglio di sé, anche grazie alle feste di paese dove le pietanze più improbabili divengono le protagoniste: Sagra del papero, della ficattola, del tartufo marzolo o delle frittelle di riso. A queste si aggiungono le combinazioni più improponibili: sagra del frate e della bistecca, cinghiale e papero o del tortello e tagliatella. Fino ad arrivare al culmine di questi intrattenimenti gastronomici con la famigerata Sagra d’ugniosa fritto. Applicando un immediato sillogismo siccome fritto é buono tutto e alla sagra viene cucinata qualsiasi cosa (d’ugniosa), non esiste possibilità che si possa uscire scontenti o non sazi all’inverosimile da codesta manifestazione gastronomica.
Conosco dei veri appassionati delle sagre, personaggi insospettabili che si aggirano tra i paesini più sperduti per gustare su tavoloni e seduti su panche di legno (che prontamente si ribaltano) le specialità più variegate e improponibili. Del resto, ognuno ha gli amici che si merita.
Ingredienti immancabili di queste magnifiche riunioni sono tre: i tendoni di copertura in materiale plastico che rendono l’atmosfera pesante e ovattata, la signora di mezza età vestita parecchio agguainata che indossa sandali gioiello con tacchi vertiginosi. Tutto l’abbigliamento preso così non avrebbe nulla di sbagliato, ma si manifesta parecchio inappropriato al contesto fatto di carne alla brace, patatine fritte nella vaschettina di plastica, sudore.
Quest’ultimo, o meglio il suo olezzo, è l’ultimo (ma non meno importante) elemento che contraddistingue l’ambiente: il puzzo di sudore impolpognato nei vestiti di colui che, di canottiera vestito, ha deciso di sedersi proprio di fianco a te, su quelle meravigliose panche di legno, che ci donano tanta (quasi troppa) convivialità.
Ma c’è una sagra (proprio in questi giorni) dove tutto questo diventa quasi magia, in un paesino vicino a Vinci, Sant’Amato. Si sale fino alla casa di Leonardo da Vinci, dopo si svolta a sinistra e dopo 3 km di salita, a tratti anche impegnativa, si arriva a Sant’Amato dove la strada asfaltata finisce.
A Sant’Amato non c’è nulla, una chiesa affacciata con una valle con un muretto di fronte su cui sedersi per guardare il panorama. Le foto non vi verranno un granché perché c’è un maledetto palo della luce proprio nel mezzo che ti rovina sempre lo scatto. Case poche, non ho mai visto nessuno in giro, sempre vento a rinfrescarti d’estate e a farti rannicchiare il collo nel bavero della giacca in inverno quasi a volerti scacciare perché stai disturbando quella anonima pace.
A Sant’Amato non ci capiti, ci devi andare di proposito, solo perché vuoi e durante la festa le panche sono messe un po’ dappertutto, nei pochi spazi in piano. Le persone del paese sono tutte lì, a servire, in cucina o alla cassa, garbate, silenziose, ma gentili. Felici di averti accolto nel loro mondo semplice come il nome della festa: Sant’Amato a tavola. Nulla è così speciale, il panorama, la festa, o il posto. Ma proprio questa semplicità senza eccessi ti fa sentire proprio in pace.
Dario Dal Canto