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Cultura domenica 30 maggio 2021 ore 12:30

Arezzo e le sue bellezze, l'Acquedotto Vasariano

Ilaria Pugi, giovane storica dell'arte, illustra nei dettagli l'opera idraulica realizzata tra il Cinquecento e il Seicento



AREZZO — L'Acquedotto Vasariano, uno dei simboli di Arezzo, è una straordinaria opera idraulica realizzata tra il Cinquecento e il Seicento che, anche se prende il nome dal grande artista aretino Giorgio Vasari, fu in realtà progettata dall'architetto fiorentino Raffaele Pagni.

In epoca Romana, Arretium era servita da un acquedotto che incanalava l'acqua dall'Alpe di Poti, in località Fontemura, ma alla fine del XIII secolo iniziò a versare in condizioni di semiabbandono. A metà del Trecento Jacopo del Casentino fu incaricato dal Governo cittadino di progettare un nuovo tracciato, che - come riporta il Vasari nell'edizione delle Vite del 1568 - fece terminare la condotta alla Fonte Veneziana, nei pressi dell'attuale Palazzo di Giustizia. 

Nel 1527 la Fonte smise di funzionare, anche a causa - secondo il Vasari - di quegli aretini che “sfruttavano” l'acqua per i loro comodi, come per esempio per annaffiare orti e campi. La Fraternita dei Laici prese così la decisione di portare una nuova conduttura dentro la città. Il Granduca Cosimo I e i Provveditori delle Fabbriche Medicee affidarono il progetto nel 1560 a Giorgio Vasari, a cui si deve la prima fase degli studi. Alla sua morte (1574) seguì un periodo di stallo fino al 1590, anno in cui con il benestare del nuovo granduca Ferdinando I de'Medici fu incaricato di riprendere il progetto l'architetto fiorentino Raffaele Pagni. I lavori furono conclusi nel 1603 da un altro architetto toscano, Gherardo Menchini, al quale si deve anche la progettazione della fontana che si trova nella parte inferiore di Piazza Grande, fortemente voluta dai Rettori della Fraternita quale simbolo di misericordia corporale per portare acqua agli assetati. La forma originale della fontana fu poi sostituita il 15 novembre 1794 con una nuova struttura marmorea – quella attuale - realizzata da Lorenzo Gugliantini.

L'imponente acquedotto si compone di due parti sotterranee e una parte esterna. Le 52 arcate monumentali utili a sostenere la condotta pensile fino ai piedi della collina di San Donato, dove sorge la Fortezza Medicea, ricordano le mirabili infrastrutture idrauliche di epoca romana. Questi archi furono realizzati per mettere in collegamento l'acquedotto e la città, e permettere all'acqua di scorrere sempre allo stesso livello, mentre un canale sotterraneo lungo circa 500 metri, attraversando la collina, sfociava verso il punto più basso di Piazza Grande, poco distante dall'abside della Pieve di Santa Maria Assunta.

Poco note sono tutt’oggi le conserve - dalle quali prende il nome l’omonima via -, cioè depositi con copertura a botte che servivano da punti di raccolta e di purificazione per le acque incanalate dalla falda di Cognaia. Nel corso dei lavori di ristrutturazione di questi depositi, effettuati negli anni Trenta del secolo scorso, sono state ritrovate due teste equine e una testa leonina in materiale lapideo, risalenti al tardo cinquecento e oggi conservate nel chiostro del Museo Nazionale di Arte Medievale e Moderna della città. Esse erano parte di una serie di serbatoi comunicanti dai quali, attraverso le loro bocche, passava l’acqua da una vasca all’altra per la decantazione.

Ilaria Pugi


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