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Attualità venerdì 09 ottobre 2020 ore 12:55

Segre, il carcere e il treno della morte

Le atrocità della deportazione nel racconto della senatrice a vita. Il ricordo del padre e l'invito ai ragazzi: "Non siate avari di abbracci"



AREZZO — Cosa pensa una bambina di tredici anni di fronte al dramma che sta vivendo? “Ascoltavo alla radio l'avanzata di questo potente esercito nazista che dopo l'8 settembre invase anche l'Italia. Quando entrarono in vigore le leggi razziste, ci fu la fuga. Molti lasciarono le loro case per trovare rifugio all'estero. Noi restammo, eravamo italiani. Poi venne un amico che bussò alla porta di casa nostra e mi portò via. Non capivo. Mi nascosero due famiglie e da quel giorno capi il significato della parola amicizia”. 

E’ il passaggio che usa Liliana Segre nell'incontro a Rondine, per descrivere ciò che ha visto e vissuto nella follia di quel tempo; cose molto lontane dai giovani di oggi eppure ancora così vive e laceranti. Guai a dimenticarle. Anche Liliana Segre è stata “clandestina”: lo ha ricordato il primo giorno del suo insediamento a Palazzo Madama raccontando la fatica “di superare quella montagna, dietro Varese, e la gioia di essere arrivata in Svizzera. 

“Ma non ci fecero entrare, ci riaccompagnarono dietro. Al confine fummo arrestati dai finanzieri in camicia nera che erano disperati nel compiere quel gesto. Ricordo come camminammo da prigionieri su quella montagna che avevamo disceso poche ore prima, pieni di speranza”. 

A tredici anni, Liliana Segre è entrata nel carcere femminile di Varese, poi in quello di Como e infine a San Vittore, Milano. “Lì sono stata 40 giorni nella cella insieme a mio padre. Dico ai giovani non siate avari di un abbraccio in più con i vostri genitori. Mio padre aveva 43 anni ed io lo dovevo consolare quando tornava dagli interrogatori. Un giorno entrò un tedesco e lesse un elenco di oltre centocinque persone che dovevano partire per ignota destinazione. Di questi 105, siamo tornati in 22. I vagoni del treno avevano un pò di paglia per terra e un secchio. Quando 40, 50 persone sono dentro un vagone e non sanno dove andranno, quel secchio diventa importante. Vedevo passare da quei finestrini il confine; vidi l'Austria e piangemmo”, spiega la senatrice a vita e la sua testimonianza smuove le coscienze. 


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