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martedì 10 dicembre 2024

PAGINE ALLEGRE — il Blog di Gianni Micheli

Gianni Micheli

Diplomato in clarinetto e laureato in Lettere, da sempre insegue molteplici passioni, dalla scena alla scuola, dalla scrivania alla carta stampata, coniugando il piacere della scrittura con le emozioni del confronto con il pubblico, nei panni di attore, musicista, ricercatore, drammaturgo e regista. Dal 2009 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Toscana riversando nella scrittura del quotidiano le trame di un desiderio di comunicazione in cerca dell’umanità dell’oggi, ispirata dalle doti dell’intelligenza, della sensibilità e della ricerca della felicità immateriale.

​La filosofia di Fabrizio de André

di Gianni Micheli - martedì 25 ottobre 2022 ore 09:00

Simone Zacchini
Simone Zacchini

Ci sono libri che danno al lettore un occhio nuovo, anzi due. Ti prendono alla sprovvista, ti spiazzano fin dal titolo. Ti lanciano come una sfida, attaccando abitudini del pensiero e del leggere stesso. Uno di questi libri, da pochi mesi in libreria, è “La filosofia di Fabrizio De André” (il melangolo) di Simone Zacchini. Un libro che sarà presentato giovedì 27 ottobre, alle ore 17, presso le sale della Casa Museo Ivan Bruschi di Arezzo.

Alzi la mano chi non ha almeno un disco di De André in casa, almeno una canzone da far risuonare nel suo giorno preferito. Una canzone, una strofa, da citare ad una cena tra amici. Della mia generazione certo nessuno. Nessuno di quelli che leggeranno questo articolo, senza dubbio. Eppure associamo con fatica De André alla filosofia. Se nel corso di filosofia, alle superiori, il docente ci avesse parlato dalla cattedra di Fabrizio De André certo ci saremmo guardati tra i banchi con un sorriso pensando, tra le righe: “Quanto ha bevuto stamani il professore?”. Eppure… Eppure arriva un professore, e di filosofia (per giunta) in ambito universitario – quella che tutti immaginiamo come l’insegnamento della filosofia più irta di fatiche per il pensiero e per la disciplina d’ogni studente – che, penna alla mano – e pianoforte in salotto –, attraversa uno dei nostri cantautori preferiti con un libro che è un invito alla scoperta di un cammino nella canzone, e nella comprensione del vivere fra esseri umani, inaspettato. Che individua una traccia, concreta, per dedicare alla filosofia del nostro tempo più di un pensiero, senza credere che sia cosa (e lettura) da intellettuali.

Personalmente trovo il percorso di emozionante interesse, e ce ne vorrebbero più di uno di Simone Zacchini per dare alla canzone d’autore lo spazio che merita nella formazione permanente sull’umanità che ognuno di noi dovrebbe compiere. Ma, visto che almeno uno Zacchini c’è, e posso dire d’averlo tra gli amici, non potevo esimermi dal fargli alcune domande, per invitare il lettore, in special modo il lettore ascoltatore di De André, a infilare il libro nella propria biblioteca. Non prima di averlo letto, naturalmente.

Nella tua introduzione parli di un titolo fuorviante per il tuo volume. Ed è vero. Difficilmente si pensa a De André come ad un filosofo e lui stesso, come scrivi, si è definito raccontatore di storie e non filosofo. Parli anche di prospettive, di storia e di destino culturale. Qual è dunque il lettore di questo libro?

Vorrei precisare una cosa. Il titolo è fuorviante solo se si intende con il termine “filosofia” un sapere per pochi eletti, astratto e complicato, lontano dalla realtà. Io ridefinisco il concetto di filosofia, invece, come uno stile di vita, un vedere le stesse cose di tutti ma con occhi diversi. Se si accetta questa prospettiva, De André è un filosofo pieno e senza ambiguità. Il lettore di questo libro, pertanto, è colui che non si arrende ad un senso ovvio delle cose ma che cerca di capire ciò che lo circonda. A partire da questo, De André o Nietzsche, un quadro di Monet o una sinfonia di Beethoven sono tutti legittimi materiali filosofici, motori che avviano una ricerca che poi è personale e attiva.

Per la filosofia di De André hai trovato l’espressione “dinamite gentile”. Senza scrivere oltre, lasciando ai lettori la ricerca dei perché all’interno del volume, vorrei rivolgerti una domanda personale: quand’è che, per te, questa dinamite è deflagrata? Puoi raccontarci una tua epifania nell’ascolto delle canzoni di De André?

La dinamite con me è deflagrata con Nietzsche. E lui stesso ha definito il suo pensiero come dinamite. De André ha uno sguardo molto vicino a quello del filosofo tedesco ma anziché scagliare dardi incandescenti contro la chiesa, la società e la metafisica, ci canta canzoni. Canzoni che hanno lo stesso obiettivo e la stessa forza, ma confezionata in una struttura musicale bellissima e in testi di grande poesia. Per me la scoperta di De André è stata con le canzoni degli anni Sessanta e con una serie di personaggi (Marinella, Bocca di Rosa, Michè) che mi hanno fatto capire che poteva esserci dell’altro oltre alle vicende e alle storie cantate. Questo ha fatto “esplodere” il mio interesse.

Già Fabrizio di André parla di un congedo dalle strutture ormai svuotate di senso dell’Occidente come continente culturale. A un quarto di secolo dalla sua morte questo continente, che sembra ancora più vuoto se possibile, di cosa continua a vivere? E, a tuo avviso, quali sono i cantautori contemporanei capaci di raccontare il continente culturale in cui oggi viviamo?

Hai ragione, e non solo è più svuotato di senso, ma ha anche perso di vista l’ultimo lumicino di realtà. La virtualizzazione delle nostre vite non è conseguenza del progresso della tecnologia, ma di una continua erosione dei fondamenti. Ormai siamo come piante sradicate e viviamo più nell’io ideale dei social, che in quello reale delle nostre vite. Io non saprei dirti chi rappresenta meglio di tutti questo. Mi oriento più su canzoni che non su autori. E “La verità” di Brunori ne è un ottimo esempio secondo me.

La tua indagine sull’universo De André, oltreché filosofica con tutte le accezioni da te descritte, parla anche e tanto di musica, di rapporto con gli strumenti, con i ritmi, con i timbri, con le linee melodiche, con le scelte compositive. Hai un consiglio da dare ad un giovane musicista, oggi, nella specializzazione che gli si richiede e a cui è in parte costretto, per aprirsi a una lettura in grado di spaziare tra discipline che hanno corsi di studi diversi?

Di non farsi chiudere dentro una rigida categorizzazione accademica di generi, stili, forme. Di fare ricerca per la propria vita, di essere aperto alle culture non occidentali e ai loro insegnamenti, e di rileggere la storia della musica occidentale con occhi sempre nuovi. Trattare i grandi del passato come compagni di viaggio: questo rende viva la propria ricerca.

L’ultima domanda che ti pongo è dedicata al concetto di “anarchismo magico” di cui tu parli nel capitolo dedicato alla libertà. Ci puoi raccontare qui, a mo’ d’invito per il lettore curioso, cosa intendi per “anarchismo magico”, definizione certamente affascinante?

È un capitolo centrale quello sulla libertà e mi ha impegnato molto. Accordare l’immagine consueta di De André, libero, anarchico, spregiudicato, trasgressivo e indipendente con la sua estrazione borghese mai rinnegata non è stato facile. L’anarchismo magico coniuga due universi deandreiani. Il suo personale interesse per le masse del sottoproletariato urbano, le genti del porto e la costante trasformazione in fiaba delle storie più cupe. Un anarchico lavora con e per il popolo, de André, invece, questo popolo, come Marinella, lo ha portato sopra una stella. De André resta un uomo delle periferie, ma non si fonde in essere, le canta, ma non le studia come un sociologo, vive con esse, ma non è un politico che cerca voti. Le rende però immortali, come in una fiaba. E questa fiaba che ancora oggi ascoltiamo, è la filosofia di Fabrizio De André.

N.B. Il mio consiglio personale, per la lettura de “La filosofia di Fabrizio De André”, è di avere sottomano un qualsiasi strumento di riproduzione audio per le tante canzoni citate. Far risuonare il canto originale di De André darà alla lettura un tocco ancor più illuminante.

Gianni Micheli

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