Deliziare il palato. Alleggerire la mente.
di Federica Giusti - venerdì 29 ottobre 2021 ore 07:30
In queste sere mi sono coccolata. Ebbene sì! Avevo proprio bisogno di svagarmi un po' e fare qualcosa che mi facesse stare bene. E non c’è niente di meglio che provare qualche ristorante della mia zona. Un giorno un amico mi ha detto che a Pontedera abbiamo più ristoranti che a Milano! So che era un’esagerazione, ma, in effetti, siamo ben forniti!
E sapete cosa ho pensato proprio durante una di quelle cene in uno dei miei locali preferiti? Beh, ho riflettuto proprio sull’effetto del buon cibo sulla nostra mente. Non appena iniziamo a percepire alcuni odori per noi gradevoli, iniziamo ad assaporare ancora prima di assaggiare il piatto. E questo ci fa stare già meglio. Non è solo una questione legata al comportamentismo Pavloviano secondo il quale a cibo corrisponde salivazione. È qualcosa di più profondo e più sottile: è benessere. Proprio come quando ci facciamo fare un massaggio rilassante.
Ed è anche neurobiofisiologia! Eh sì, perché, come afferma la Dott.ssa Bellini, dirigente medico dell’U.O. di Neurologia dell’Ospedale di Livorno in un suo articolo pubblicato da PisaMedica, alimentarsi non è solo un bisogno fisiologico primario, ma va ad interessare anche i neuroni specchio, il sistema limbico e le vie della memoria.
Il benessere passa, quindi, anche dal nostro palato e più lo affiniamo, più lo rendiamo capace di intercettare sapori particolari ed esplodere nella nostra mente rilasciando dopamina, che, sempre secondo la Bellini, è direttamente proporzionale alla palatabilità del piatto.
Proprio parlando con Mirko, amico e proprietario di un noto ristorante del centro della mia città, ho scoperto che il momento del dessert è quello che fa capire se la proposta culinaria è stata ben accolta dal cliente e se questo mostra ancora curiosità rispetto alle abilità dello chef. Vedere che non solo viene richiesto ma addirittura vengono fatti i complimenti per questo, sottolinea in positivo la riuscita di un servizio.
Il dolce, in particolar modo, chiudendo il pasto, è anche l’ultimo ricordo del commensale, e, seguendo la teoria del Bottom Up, secondo la quale i processi di memorizzazione legati all’ultima esperienza fatta sono emotivamente carichi, associati all’esperienza stessa e connessi alla sensorialità, possiamo affermare che la decisone di tornare o meno in un determinato ristorante, dipenderà in larga misura dalle emozioni che gli ultimi piatti assaggiati ci hanno lasciato.
Ciò che mangiamo non è solo legato alla necessità di nutrirsi, ma a quella più profonda di andare alla ricerca del benessere. La neurogastonomia, come spiega la Bellini, “è quella scienza che si occupa dei complessi meccanismi che permettono al cervello di creare sapori e di come questo si inserisca nella cultura dell’uomo”, per cui, viene da sé, che mangiare non è affatto solo nutrirsi, ma è anche un’esperienza sociale e culturale, psicologica.
Per questo, come spesso accade, anche oggi voglio proporvi un gioco. Immaginatevi comodamente seduti ad un tavolo a mangiare qualcosa che vi strappi un sorriso. Cosa c’è in quel piatto? Che emozioni vi suscita? E che ricordi legate a quell’esperienza?
Sono sicura che se vi permettete di raccontarvi questa storia, sarà palese anche a voi che no, non si tratta solo di cibo, si tratta di delizia per la mente e per lo spirito.
In fin dei conti, come diceva Feuerbach “Siamo ciò che mangiamo”.
E potremo racontare la nostra storia anche attraverso i piatti che l’hanno caratterizzata.
Buon appetito!
Federica Giusti