Quando il silenzio è aggressivo
di Federica Giusti - venerdì 14 giugno 2024 ore 09:00
Quando pensiamo ad un comportamento aggressivo sul piano verbale, molto probabilmente ci vengono in mente urla, toni di voce molto alti, epiteti o insulti. Ma c’è un’altra forma di aggressività ed è quella del silenzio.
Privare il nostro partner conversazionale di una risposta, chiudere alla possibilità di un confronto imponendo all’altro il proprio silenzio, è una forma di aggressività bella e buona, anche se tendenzialmente invisibile.
Il silenzio, infatti, psicologicamente parlando, è una vera e propria forma di violenza emotiva che ha lo scopo chiaro e preciso, quasi chirurgico, di punire o, comunque, controllare chi lo subisce.
È un comportamento manipolatorio, al pari di quello che viene portato avanti con le parole, e porta chi lo vive sulla propria pelle a sentirsi confusi, insicuri, frustrati e incapaci di agire. Chi pratica il silenzio come forma di punizione sa benissimo l’effetto che avrà sull’altro ed è questo che ricerca, in modo da annientarlo e sfuggire al confronto e alla messa in discussione. Non avendo altre risorse da poter mettere in atto, la persona che usa il silenzio lo fa per cercare di uscire vincitore da una conversazione nella quale si sentiva in difficoltà.
Per quanto sia enormemente difficile, la cosa migliore da fare quando si è vittima di questo tipo di manipolazione, sarebbe non farsi coinvolgere e allontanarsi, abbandonare il campo, in modo da poter riflettere e magari, offrire anche all’altro la possibilità di terminare la punizione che sta infliggendo.
Il silenzio imposto è una forma di abuso e come tale è un comportamento tossico, è una forma di mancanza di rispetto verso l’altro, alimenta l’incertezza e ha lo scopo ben preciso di manipolare l’altro.
Se si è vittima ma anche se ci si rende conto di essere colui o colei che utilizza questa tecnica, è bene rivolgersi ad un professionista per interrompere subito la spirale negativa che si può aprire.
Federica Giusti